Come ho perso il mio lavoro e ho trovato la mia anima

Questa è la storia di un passaggio. Mi chiamo Sorin. Sono Nato in Romania e immigrato in Canada all’età di 13 anni, ho lavorato come ingegnere informatico negli ultimi dodici anni. Questo lavoro mi è stato consigliato da mio padre, per le mie capacità e i miei difetti, e mi ha attratto subito per il denaro e lo status che mi ha conferito. Ma questa non è l’unica grande porta di trasformazione che ho attraversato nella mia vita, solo l’ultima. Potrebbe essere d’aiuto per il contesto aggiungere che nel 2015 sono diventato vegano, dopo aver letto il libro “Il gusto di essere altruisti” di Matthieu Ricard, e che poco dopo sono diventato un attivista di Animal Justice. Ma queste sono storie buone per un altro giorno.

Non sono io il protagonista di questa storia.
Sono loro.
Attori sempre sullo sfondo, nascosti e di cui non si parla mai.
Per una volta cercherò di metterli sotto i riflettori. Temo di non dare loro lo spazio che meritano, perché questa è la storia, raccontata da me, sul loro passaggio ad un altro mondo, e sul mio passaggio ad un altro stato di consapevolezza.

Un giorno, il mio capo mi ha beccato al lavoro mentre scrivevo su Facebook di un’azione di Extinction Rebellion Ottawa / Animal Rebellion Ottawa sugli incendi in Amazzonia all’ambasciata di Brezillian. Mi ha chiamato nel suo ufficio. Io l’ho guardato dritto negli occhi e gli ho detto che mi sarei preso cinque giorni di ferie per andare a Toronto.

Tutto è iniziato con l’idea di uno sciopero della fame di cinque giorni a Toronto per fermare la costruzione di un nuovo macello. Mi faceva paura  prendermi dei giorni di ferie. Mi faceva  paura non mangiare e mi faceva paura passare cinque giorni senza i miei compagni. Ma una persona che rispettavo molto mi disse di andare, sentivo che gli animali avevano bisogno di me e, soprattutto, ormai la ribellione era iniziata, sia fuori di me, con la nascita della Ribellione Animale, sia dentro di me, nel mio cuore.

Ho lasciato Ottawa nel cuore della notte, dopo un fine settimana di attivismo a Montreal. Temendo per la mia salute, la mia amorevole compagna ha preparato la mia ultima insalata. Non volevo mangiarla perché lo sciopero della fame doveva essere già iniziato. Tuttavia, non sono un individuo dogmatico e, disturbato dalle quattro ore di viaggio da Ottawa a Toronto, confesso di averla mangiata. Era il mio ultimo cibo solido per i successivi cinque giorni. Sono arrivato poco prima dell’alba e ho scoperto che il nostro campo si trovava vicino al macello avicolo Maple Leaf. Una delle tende era stata incendiata. Un’anima infelice, un’altra vittima del nostro tossico sistema capitalista, abitava in quel terreno e aveva visto la nostra presenza come un’intrusione. C’era panico tra gli attivisti. Andai a letto chiedendomi se sarei bruciato vivo, mentre sentivo le seghe del mattatoio entrare in azione di tanto in tanto.

Il primo giorno, iniziarono ad arrivare i camion. Ho cercato di guardare dentro, come tutti gli altri, curioso di vedere le galline, e ho cercato di trasmettere loro un po’ di conforto con la mia presenza, senza sapere esattamente come. Quello che vidi mi spezzò il cuore, lacerò la mia anima e mi fece scoppiare in lacrime.
A centinaia stavano accatastati uno sopra l’altro. Spaventati e confusi, mi guardavano e cercavano di capire se aspettarsi da me altra sofferenza o un aiuto. Non potevo che offrire loro le mie lacrime e la mia consapevolezza. La consapevolezza che sono loro i veri proprietari delle ali di pollo a cui non sappiamo rinunciare. Tutte le ali di pollo che ho mangiato. Ho guardato bene questi individui che prima compravo senza testa, mettevo nel forno e mangiavo, e sono caduto per terra piangendo. Questo è il post che ho fatto quel giorno su Facebook.
Vi prego di guardare le loro foto e di ricordarle. Ricordateli, perché ora sono tutti morti. Le seghe sono entrate in azione. I loro corpi sono stati tutti tagliati a pezzi. Sono stati lavorati, cotti e ormai mangiati. Per il resto della settimana ho guardato i camion che entravano, e ho sentito le seghe ucciderli e tagliarli, indifesi e disperati. Non ho potuto fare nulla, nemmeno salvarne uno, nonostante il mio profondo desiderio (e la mia capacità) di rompere quelle gabbie di plastica e liberarli, dare loro qualsiasi tipo di libertà e qualsiasi tipo di vita che potessero avere cercando in modo autonomo la propria strada, perché qualsiasi cosa era meglio del destino che li aspettava dietro quelle mura crudeli.

Il secondo giorno, abbiamo camminato per qualche minuto fino al macello delle mucche. Ho scritto mucche, ma erano vitellini. Avevano solo pochi mesi. Probabilmente sono ancora specista,, emotivamente e inconsciamente, perché in questa volta il dolore è stato ancora più forte che per i polli. I loro enormi occhi erano fissi su di me, capivo che non volevano morire, vedevo la loro paura, sentivo il loro dolore. Il camion era coperto di letame, e così anche loro. Non abbiamo avuto la possibilità di dirgli addio a lungo, il camion si stava già muovendo, indipendentemente dai nostri corpi che cercavano di regalare loro qualche minuto in più di vita miserabile, bloccando la strada. Dobbiamo lasciarli andare, la macchina di morte deve continuare. Ho guardato nel mattatoio e li ho visti diventare dei corpi fatti a pezzi attraverso le finestre. Mi dicono che è un mattatoio kosher, che segue le norme religiose ebraiche, e quindi devono tagliare le loro gole e devono morire dissanguati. Mi raccontano di immagini filmate con loro che lottano sul pavimento e soffrono con il collo segato. Piango e piango e piango e piango. Piango ancora oggi quando ricordo questi momenti. Mi chiedono se è la prima volta che vado a una veglia funebre di bovini, come se fosse un segno di anzianità essere lì senza piangere, e mi vengono forniti molti altri dettagli sul loro destino. Alla fine vedo le loro pelli ancora sanguinanti e calde, che vengono gettate in un grande contenitore, una dopo l’altra. Sono emotivamente e mentalmente esausto, e con le mie ultime forze, scrivo questo post su Facebook.

Il terzo giorno di inferno, andiamo al macello dei maiali, a circa un’ora di macchina dal campo base. Questo è di gran lunga il peggiore, questi camion non si sarebbero fermati affatto senza il nostro intervento. Gli attivisti hanno dovuto bloccare la strada a rischio della vita per dare acqua ai maiali e dare loro un ultimo addio. Per fortuna la polizia era presente, perché altrimenti avrebbero potuto schiacci arci.

Quel giorno non ho postato nulla su Facebook. Non ne ho parlato fino ad ora. Non potevo, non ne avevo la forza. Forse li ho delusi fino ad oggi, forse avrei dovuto essere più forte e raccontare la loro storia prima. Durante le due ore in cui sono stato lì, ho visto più di otto camion. Centinaia di persone sono state uccise a pochi metri da me. Ho dovuto assistere a un genocidio con calma e pazienza.

I maiali hanno lo stesso aspetto e si comportano esattamente come i cani, con le orecchie a punta o flosce, proprio come i cuccioli. I loro occhi sono blu o marroni, proprio come noi umani. Guardavo i loro corpi, danneggiati dagli abusi, e mi faceva male solo pensare a quello che avevano sopportato. Le loro bocche eranoaperte, assetate per le ore passate nel camion. Penso all’ironia del fatto che potremmo prendere una multa per aver lasciato un cane in macchina. Mi sorprese il fatto che non ci temessero. Venivano a trovarmi e accettavano volentieri l’acqua offerta, ed erano felici di ricevere un’ultima carezza di addio. Ricordo di aver letto che i maiali sono intelligenti (se non di più) e socievoli come i cani, e penso a Draco, il nostro amico canino, a cui piace essere accarezzato e lo immagino lì, pronto a morire – che differenza fa?

Li salutai, in silenzio, senza più lacrime agli occhi. Le lacrime erano sparite, così come la mia empatia, qualsiasi sentimento fosse rimasto, non era più così personalmente doloroso. La mia capacità di provare dolore mentale o emotivo sembrava essere cessata. Desideravo profondamente e sinceramente che il loro dolore si fermasse, ma non sentivo più dolore. Forse dopo tre giorni senza cibo ero come impazzito, forse era stanchezza mentale, forse era compassione. era come se fossi appena morto dentro. Segretamente e silenziosamente avevo smesso di essere me stesso ed ero diventato uno di loro. È con loro che sono morto quel giorno, e da quel giorno continuo a soffrire con loro, e purtroppo, a rinascere con loro e a soffrire costantemente in un ciclo eterno, perché soffrono. Ora io sono loro, e loro sono me. Questa è la mia storia, eppure questa è la loro storia, questa è la tua storia, questa è la nostra storia. Tutti siamo diventati una cosa sola.

I buddisti dicono che “la sofferenza esiste, ma non la persona che soffre”. Siamo esseri senzienti della stessa coscienza, tutti trasformati in uno solo. Quel giorno l’ho vissuto. E quel giorno ho giurato che avrei fatto tutto il possibile per fermare la loro sofferenza, perché la loro sofferenza è la mia e quella sofferenza è la tua, e un giorno saprai che lo è, e come me, smetterai di cannibalizzarti, di mangiare il tuo corpo e di farti del male. Quel giorno lavorerai come me per alleviare tutte le sofferenze del mondo. Quel giorno sarai come me, e io sarò te, e noi saremo una cosa sola. E fino a quel giorno, vi ricorderò, da questo corpo in cui io sono, o dal loro corpo, o dal vostro corpo che soffre, o dal corpo di qualcun altro che conoscete e amate che soffre, continuerò a ricordarvi gentilmente, che voi soffrite, e che io soffro, che non c’è differenza tra la vostra sofferenza, o la mia sofferenza, o la loro sofferenza e, soprattutto, che attraverso quella sofferenza, siamo una cosa sola.

Circa una settimana dopo lo sciopero della fame di cinque giorni, mi sono licenziato. Credo di aver ritrovato la mia anima. L’anima collettiva della coscienza collettiva. Da allora viaggio, quando posso, e lascio che i venti di Turtle Island mi portino ovunque vogliano portarmi. Ovunque io sia, e ovunque mi trovi, accenderò i fuochi della ribellione – Ribellione dell’estinzione per il nostro pianeta, Ribellione animale per tutti gli esseri senzienti, ma soprattutto, una ribellione della nostra coscienza, la coscienza individuale, trasformata in coscienza collettiva.